Il falso mito dell’uguaglianza delle confessioni religiose in costituzione

Si ritiene comunemente che la Costituzione, all’art. 8, enunci un principio di uguaglianza delle confessioni religiose, in analogia con il principio di uguaglianza dei cittadini di cui all’art. 3. Ossia è diffusa la credenza secondo la quale la Costituzione esprimerebbe un giudizio sul merito delle religioni ponendole tutte su un medesimo piano, come per dire che nessuna è migliore o peggiore dell’altra.

In realtà, non a caso, la Costituzione non dice nulla di ciò.

Mi riferisco alla mera uguaglianza, nel merito, della confessione religiosa, quindi non allo sbilanciamento conclamato dei rapporti tra stato e chiesa cattolica, regolati dai patti lateranensi preesistenti alla Costituzione, rispetto ai rapporti tra Stato e confessioni religiose diverse dalla cattolica, disciplinati da intese di volta in volta stipulate.

Leggendo in modo attento il primo comma dell’art. 8 ci si accorge che la costituzione non parla di uguaglianza bensì enuncia un principio di uguaglianza di libertà: “Tutte le confessioni sono egualmente libere davanti alla legge”.

Va detto, però, che la credenza popolare non è poi così peregrina, poiché in seno alla costituente il problema dell’uguaglianza delle confessioni religiose si pose in modo acceso, tant’è vero che fu respinto l’emendamento così redatto: “Tutte le confessioni religiose sono eguali di fronte alla legge”.

Le confessioni, quindi, non sono uguali per scelta politica della costituente.

PerchE’ il principio di eguaglianza di libertà

Il motivo della formulazione che oggi troviamo in costituzione lo ricaviamo direttamente dalle dichiarazioni rese in seno alla costituente.

Il principio di uguaglianza venne sottoposto per iniziativa del comunista Laconi e criticato dalla componente democristiana, in primis dal costituente Cappi, che disse:

“è una formula che da noi non può essere accettata. Non può essere accettata perché può implicare, nella sua formulazione, una specie di giudizio nel merito, sul contenuto delle singole confessioni religiose: giudizio di parità che — voi lo comprendete — non solo i cattolici, ma neanche gli appartenenti ad altre confessioni religiose non possono ammettere, perché è impossibile che un credente di una data fede ammetta una parità con le altre fedi.

Né lo Stato ha competenza in ciò.
Voi mi dite: «davanti alla legge». Siamo schietti! Quello che preme e che dovrebbe premere principalmente a voi, se non avete secondi pensieri, è questo: che sia libero l’esercizio della confessione religiosa e sia libero con parità, tanto per quella religione che raccoglie nel suo seno la quasi totalità dei cittadini, quanto per quelle confessioni religiose che raccolgono una infima minoranza”.

La scelta della costituente, quindi, possiamo dire che fu dettata dall’esigenza di rispettare lo Stato laico, che in quanto tale non può entrare nel merito della confessione religiosa affermando che l’una è uguale all’altra, ma limitarsi solo ad enunciare un principio di uguaglianza di libertà davanti alla legge.

Avv. Marco Giudici

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